Co-design vs failure

Pensiero progettuale collaborativo come risposta resiliente al ‘fallimento’

Codesign Toscana è un’associazione culturale e un collettivo interdisciplinare di riferimento per facilitare la transizione dalla partecipazione alla co-progettazione* di cose. Ci occupiamo dal 2017 di innovazione socio-culturale per mezzo di approcci collaborativi e strumenti di design relazionale. Siamo specializzati nell’applicazione dell’approccio design thinking attraverso strumenti mutuati dal service design, dalle scienze sociali, umanistiche e manageriali per progettare in risposta a sfide complesse. Ci accomuna il desiderio di mantenere vivo di fronte a noi un orizzonte progettuale, ovvero la capacità di essere attivamente coinvolti nell’ideazione di soluzioni creative alle sfide della contemporaneità. In questo contesto operiamo in forma collaborativa, perché sono l’apertura e la coralità a generare le nostre risposte. La nostra modalità di lavoro si basa sul costante dialogo e sullo scambio relazionale: crediamo in una forma di crescita collettiva che si sviluppa attraverso l’esplorazione e la sperimentazione.

Quando nel 2018 abbiamo proposto il workshop #CoDesigntheFailure nella cornice di Impact Hub Firenze, i partecipanti coinvolti hanno preso parte ad un processo di co-design impiegando strumenti del systemic design e un approccio design thinking con lo scopo di immaginare scenari futuri e dinamici, e di intervenire in maniera snella e creativa all’emergenza, allo squilibrio, al cambiamento.

In questo breve scritto presentiamo il co-design come metodologia per affrontare il dissesto e la perdita di equilibrio intendendo proprio la condizione di instabilità come interpretazione del concetto di ‘fallimento’. A partire da una combinazione di metafore che legano il concetto di fallimento con la perdita di orizzonti progettuali, proponiamo la metodologia del design collaborativo come un insieme di strumenti multidisciplinari e approcci per organizzare la nostra autonomia progettuale con la ricerca, il riconoscimento e lo sfruttamento di strategie mutualistiche date dai vettori di forze esterne intorno a noi.

Equilibrio e fallimento: orizzonti progettuali e continuo mutamento

Cosa significa perdere l’equilibrio? Come possiamo accettare la caduta poiché consapevoli che l’iterazione progettuale, il mutamento continuo e creativo, è parte della nostra esistenza? Questa è la domanda attorno alla quale abbiamo lavorato quando Laura De Benedetto ci ha chiesto di portare al format Fuckup Nights una riflessione e una sessione di progettazione collaborativa sul tema del design thinking collaborativo come risposta ai fallimenti.

Poter vedere un orizzonte di possibilità progettuali è motivo di sicurezza e senso di agentività. L’orizzonte delle possibilità progettuali è l’insieme dei traguardi davanti a noi, delle forme socio-tecniche possibili che ci rendono ‘responsabili’ in quanto capaci di rispondere ad una o più sfide. Se stiamo in equilibrio, quindi, è perché l’orizzonte delle progettazioni possibili è visibile, e chiunque non sia interdetto può affrontare la strada camminando, pensando, immaginando il possibile. Tale strada, infatti, possiamo immaginarla come un puzzle multidimensionale e mai statico; è composta da elementi interconnessi, che insieme compongono una forma malleabile e una materia dinamica. Potremmo dire altresì che la strada altro non è che la vita stessa, che si compone di esperienze continue in cui si alternano momenti di chiarezza, pensieri evanescenti, incontri ed episodi cruciali. Allo stesso modo, è una strada di opache visioni che si sgretola e si disfa a causa di frustrazioni, cadute e perdite. I ‘fallimenti’, dunque, ne sono parte integrante.

Introduciamo quindi il concetto di fallimento, proponendo un’analisi alternativa alla sua interpretazione dominante che lo presenta come un elemento inesorabilmente negativo legato ad un’interpretazione agonistica e performativa dell’esistenza. Questo tipo di prospettiva non si confà al pensiero progettuale di stampo relazionale ed ai principi dell’economia civile — reciprocità, virtù e beni relazionali- a cui noi di Codesign Toscana ci ispiriamo. Il concetto di fallimento a cui ci riferiamo è quello che contiene in sé le cause e le conseguenze di una perdita di equilibrio, gli elementi della nostra esistenza, cioè una condizione che bisogna esser pronti ad accogliere e conoscere con il fine ultimo di poter reagire ad essa e da essa imparare.

Co-design e design thinking: mutuo soccorso e progettazione sistemica

Il co-design, nella pratica di Codesign Toscana, è l’insieme dei metodi, degli strumenti e delle relazioni che abilitano l’individuazione e la gestione collaborativa di orizzonti progettuali, cioè progettazioni possibili, immaginandone i potenziali, le interazioni e gli impatti futuri.

Attraverso momenti laboratoriali (workshop, percorsi di co-design e ricerca-azione) si sviluppano insieme a chi partecipa una serie di ‘concept’, ovvero gli elementi primordiali della forma di un progetto, indissolubilmente legati al riconoscimento della fluidità dell’ambiente in cui sono nati e alla necessità di cura per il loro sviluppo, di “attenzione e ascolto delle cose nel tempo, della premura nella loro manutenzione.”

Proprio questa attività di cura dei concept emergenti dalle attività di co-design acquisisce forma grazie ad approcci e strumenti multidisciplinari per affrontare, in maniera partecipata e coinvolgente, sfide progettuali e tematiche complesse d’innovazione. Come Codesign Toscana utilizziamo l’approccio design thinking per portare alla luce:

  • bisogni delle persone e fattori chiave per cui si progetta, attraverso strumenti di ricerca socio-culturale, che permettono di creare un contesto di partenza ricco di intuizioni e di analisi empatica;
  • proposte progettuali e strategie di implementazione con ottica sistemica, attraverso strumenti del systemic design, per considerare l’insieme delle interazioni e delle esperienze che compongono gli scenari sviluppati.
  • competenze e risorse necessarie, attraverso strumenti mutuati dal management dell’innovazione, per definire soluzioni fattibili e sostenibili.

Dunque, quello che ci interessa nella nostra pratica professionale è far fronte all’emergenza, intesa come conseguenza di una situazione di instabilità, e trasformarla in opportunità per una progettazione collaborativa. Riprendiamo quindi il concetto di perdita di equilibrio, leghiamolo a quello di fallimento e proviamo a interpretarlo con gli occhi del/la co-designer.

In seguito ad un fallimento — che sia esso personale o di gruppo, professionale o sentimentale, verificatosi ad un livello micro o macro di un sistema (pensiamo per esempio allo stato di pandemia in cui purtroppo ci troviamo) — il risultato è lo stesso: abbiamo perso il controllo e l’imprevisto ha fatto emergere nuovi bisogni, un senso di insicurezza ci accompagna e le nostre riflessioni personali sembrano non portare a niente. Il co-design è una risposta resiliente e trasformativa che permette di interiorizzare il fallimento, ma soprattutto di reagire ad esso recuperando una prospettiva costruttiva e aperta canalizzata nella progettazione.

Attraverso il design collaborativo creiamo un ponte tra la capacità di ricercare, intuire, immaginare e definire nuove strategie per nuove cose con la necessità di farlo attraverso gli aspetti relazionali e le interdipendenze tra individui. La collaborazione qui è intesa come uno scambio mutualistico “in cui i partecipanti traggono vantaggio dall’essere insieme […] collaborano per realizzare ciò che non riuscirebbero a fare da soli”. In questo senso, il co-design prende spunto dal concetto di intelligenza collettiva nella botanica, dove l’insieme interdipendente dei reticoli sotterranei formati dalle radici degli alberi, da funghi e batteri di una foresta compongono “un super organismo nato dall’interazione fra gli alberi che ne fanno parte”.

Il co-design abilita la consapevolezza di vivere in un mondo interconnesso e interamente progettato, nel quale ognuno di noi può scegliere di essere parte attiva di un cambiamento. Il co-design insegna attraverso la sua pratica la facoltà di adattarsi in seguito al dissesto con le abilità del bricoleur, cioè di imparare e plasmarsi “all’ambiente socio-tecnico di cui dispone […] con i residui di costruzioni o di distruzioni precedenti” (Lévi-Strauss,1962). Ciò che proponiamo, in sintesi, è la ricerca di una nuova stabilità e di orizzonti progettuali possibili attraverso gli altri e con gli altri, facilitati dalla mediazione di progettisti esperti e da strumenti inclusivi e usabili, acquisendo il mindset tipico del designer.

Conclusioni

Il design è stato riconosciuto come la disciplina che ha descritto per quasi un secolo il prodotto concepito per la produzione industriale e la replicabilità sul mercato. In questo scritto, si invoca una transizione alla democratizzazione delle fasi che caratterizzano il processo creativo e collaborativo che sta dietro all’idea di buon progetto. In effetti, è l’essenziale dimensione sociale del design ad essere ricercata, quella cioè legata all’importanza della conversazione, del confronto prima della produzione, della spinta verso l’auto-progettazione e la co-costruzione, verso un modello circolare dell’economia, verso la creazione di comunità che curano beni comuni, verso l’interazione con tutti i livelli della società civile prima di dar forma nuova per il mercato.

Come Codesign Toscana abbiamo applicato gli strumenti e l’approccio del design collaborativo per parlare di fallimento, come nelle Fuckup Nights, contestualizzandolo in una prospettiva più ampia, che lo inquadra come ‘uno dei fallimenti’ ai quali siamo chiamati a rispondere, come esseri viventi parte di un mondo complesso, in maniera resiliente, creativa e collaborativa. Allo stesso modo, abbiamo utilizzato il co-design per coinvolgere, ispirare e rispondere a sfide lanciate nelle politiche urbanistiche e da progetti di ricerca-azione europei — con Start Park per Designscapes e nel Junglathon per Prato Urban Jungle- alla trasformazione aziendale -per ESTRA spa e per Rifò srl-. Abbiamo progettato disegnato percorsi di co-design per istituzioni culturali e rassegne di arte contemporanea -dall’Ecomuseo del Casentino alla Scuola Popolare Villa Romana — e organizzato iniziative autoprodotte e glocal– nelle Global Service Jam o nelle Local Jam-. Infine, abbiamo portato il co-design nelle scuole — presso la Scuola Desiderio da Dicomano ed alla fiera Didacta 2019- dove il co-design diventa il volano per affrontare il cambiamento nella didattica e promuovere l’apprendimento cooperativo

Il co-design può rappresentare una metodologia ibrida, una filosofia e una pratica progettuale efficace per rispondere alla perdita di orizzonti progettuali: la progettazione collaborativa è in grado di abilitare un mutuo scambio di nutrienti a noi indispensabili come l’immaginazione e la relazione. Diffondiamo il co-design per progredire come complesso, per innescare processi di distruzione creatrice collaborativa e condivisa, per fare esperienze interattive in uno spazio operativo che intreccia fasi di apprendimento e creazione di schemi al fine di interpretare positivamente il cambiamento.

Riferimenti bibliografici presenti nel testo

  1. Manzini, E. (2018). Politiche del quotidiano: progetti di vita che cambiano il mondo. Edizioni di Comunità.
  1. Bertalanffy, L. v. (1968). General System Theory: Foundations, Development, Applications, New York: George Braziller.
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  1. L. Bruni, S.Zamagni, Economia Civile, Il Mulino, 2004
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  1. Lévi-Strauss, C. (1962). La Pens ́ee Sauvage Librairie Plon, Paris.
  1. Manzini, E. (2015). Design, When Everybody Designs: An Introduction to Design for Social Innovation. MIT Press Ltd
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  1. Buchanan, R. (1992). Wicked problems in design thinking. Design issues, 8(2), 5-21.
  1. Kolko, J. “Design Thinking comes of age”, September 2015 issue, Harvard Business Review
  1. Mari, E. (2002) Autoprogettazione?, Corraini edizioni
  1. Mancuso, S. (2020). La pianta del mondo. Editori Laterza
  1. Morin, E. (2008). 
  1. Sennet, R. 2012.Together. London: Penguin Books, 324 pgs.

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